Con il messaggio n. 3359 del 2019, sono stati forniti dall’INPS chiarimenti in merito alla discussa compatibilità tra la qualifica di amministratore, consigliere o presidente di una società di capitali e lo status di dipendente in capo al medesimo soggetto. In particolare, l’Istituto, oltre a fornire indicazioni sui criteri cui far riferimento per constatarne la liceità, consiglia un’attenta analisi delle varie casistiche al fine di verificare che le stesse non possano sollevare problematiche che incidano nella gestione previdenziale e assistenziale delle posizioni coinvolte, a fronte dell’asserita cumulabilità delle cariche. Quali sono le possibili conseguenze a livello pensionistico?
La possibilità che il medesimo soggetto rivesta più ruoli – segnatamente quelli di amministratore e dipendente – nell’ambito della compagine sociale non è certamente una tematica nuova; basti pensare alla copiosa giurisprudenza formatasi nel corso degli anni e alla datata circolare INPS n. 179 dell’8 agosto 1989.
Con il messaggio n. 3359/2019, l’INPS interviene nuovamente sull’argomento chiarendo che l’espletamento delle funzioni che discendono dall’esercizio di una carica sociale apicale, come ad esempio quella dell’amministratore, all’interno di una società di capitali, non preclude, a priori, la configurabilità di un autonomo e distinto rapporto di lavoro di tipo subordinato.
Tesi giurisprudenziali e i precedenti della prassi
Il messaggio INPS, dopotutto, si pone in linea con il consolidato orientamento della Cassazione secondo il quale l’incompatibilità nelle società di capitali della titolarità di cariche sociali con il rapporto di lavoro subordinato svolto, all’interno della medesima società, dalla stessa persona che l’amministra permane solamente nel caso in cui l’amministratore non sia soggetto alle direttive, al controllo e alla disciplina di un organo collegiale sovraordinato e pertanto operi in piena autonomia, potendo essere libero di esprimere, da solo, la volontà propria dell’ente.
La posizione assunta dall’Istituto si pone, inoltre, in continuità con la timida apertura che lo stesso aveva già dimostrato nel corso del 2011 in tema di società cooperative (messaggio n. 12441 dell’8 giugno 2011), vincolando la valutazione della compatibilità di ruoli plurimi ricoperti dallo stesso soggetto all’accertamento in concreto della sussistenza delle condizioni delineate dalla giurisprudenza di legittimità, riassumibili come segue:
– la sussistenza di un potere deliberativo affidato all’organo collegiale e non alla mera volontà dell’amministratore;
– l’assoggettamento del lavoratore, nonostante la carica sociale ricoperta, ad un effettivo vincolo di subordinazione esercitato da un soggetto terzo ovvero dai componenti dell’organismo sociale cui appartiene;
– lo svolgimento di mansioni che esulino dai poteri di gestione richiesti dal ruolo e dalle deleghe conferite.
Focus su presidente e amministratore delegato
Uno degli aspetti di maggior rilievo che può essere ravvisato nel recente documento di prassi afferisce alla compatibilità che l’INPS riconosce tra la carica di presidente e lo status di lavoratore subordinato, prima categoricamente esclusa (seppur “in linea di massima”; infatti, secondo il consolidato orientamento della Cassazione – cfr., ex plurimis, Cass. n. 11978/2004, n. 1793/1996 e n. 18414/2013 – anche il presidente di società, così come qualsiasi altro membro del consiglio di amministrazione, può essere soggetto alle direttive, alle decisioni e al controllo dell’organo collegiale e, pertanto, assolvere un ruolo esecutivo, del tutto distinto da quello di gestione richiesto dalla funzione sociale svolta).
Il ruolo dell’amministratore delegato, invece, ai fini della cumulabilità della carica ricoperta con l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato, deve essere valutato in relazione alle interconnessioni fra l’organo delegato e il consiglio di amministrazione, al numero degli amministratori delegati della società nonché alla libertà di azione e di scelta concesse, rispettivamente, in relazione all’esercizio della funzione sociale e all’attività di lavoro dipendente.
D’altro canto, permane la storica (e condivisibile) chiusura dell’INPS circa la possibilità, da parte dell’amministratore unico, di svolgere un’attività di lavoro subordinato contestualmente all’esercizio della funzione sociale, posto che la concentrazione del potere volitivo della società nelle mani dell’amministratore unico esclude l’effettiva soggezione dello stesso alle direttive di un terzo, gerarchicamente sovraordinato.
Parimenti, sulla falsariga delle motivazioni appena esposte, l’Istituto conferma l’inconciliabilità del rapporto di lavoro subordinato con la carica ricoperta dal socio di maggioranza in grado di determinare l’andamento della società controllata, affermando che l’effettiva ed esclusiva titolarità dei poteri di gestione della società nelle mani di un unico soggetto non è compatibile con la compresenza della figura di lavoratore subordinato.
Asserita l’astratta possibilità di instaurare, tra la società e la persona fisica che, con altri, la rappresenta e la gestisce, un autonomo rapporto di lavoro subordinato, sarà necessario sincerarsi del reale svolgimento di attività estranee a quelle connesse alle funzioni sociali ricoperte e verificare l’effettiva sussistenza di un vincolo di subordinazione quale elemento tipico qualificante il rapporto di lavoro ex art. 2094 c.c.
Muovendo in tale direzione, l’INPS evidenzia che, nell’ambito della propria attività ispettiva e/o accertativa, sarà necessario attenersi al principio di effettività e non limitarsi al nomen iuris utilizzato e alle modalità di formalizzazione dei diversi rapporti instaurati.
Considerazione conclusive
I chiarimenti forniti dall’INPS ribadiscono le criticità che possono derivare, ai fini della posizione previdenziale del soggetto interessato, dall’eventuale disconoscimento del rapporto di lavoro subordinato che l’amministratore ovvero il presidente di una società possa aver instaurato con la stessa nel corso della propria carriera professionale.
Infatti, sebbene la posizione attuale dell’Istituto si ponga in continuità con quanto già delineato nei precedenti documenti di prassi e trovi riscontro nella consolidata giurisprudenza di legittimità, la definizione dei criteri a cui far riferimento per constatare la legittimità del doppio ruolo (esecutivo e di gestione) assunto dal dipendente/amministratore e la rinnovata attenzione che l’Istituto sembra avere nei confronti della materia consigliano un’attenta analisi della varie casistiche al fine di verificare che le stesse non possano sollevare le problematiche innanzi esposte.