La fattispecie del licenziamento per superamento del periodo di comporto in caso di malattia è un’ipotesi tipizzata di giustificato motivo di licenziamento, cosicché le regole dettate dall’articolo 2110 del Codice civile prevalgono, in quanto speciali, sia sulla disciplina dei licenziamenti individuali, sia su quella degli articoli 1256, 1463 e 1464 del Codice civile, e si sostanziano nell’impedire al datore di lavoro di mettere fine unilateralmente al rapporto fino al superamento del limite di tollerabilità dell’assenza (il cosiddetto periodo di comporto) predeterminato dalla legge, dalle parti o, in via equitativa, dal giudice, e nel considerare quel superamento come unica condizione di legittimità del recesso.
Le stesse regole hanno quindi la funzione di contemperare gli interessi in conflitto del datore di lavoro (a mantenere alle proprie dipendenze solo chi lavora e produce) e del lavoratore (a disporre di un congruo periodo di tempo per curarsi senza perdere i mezzi di sostentamento e l’occupazione), riversando sull’imprenditore, in parte ed entro un determinato tempo, il rischio della malattia del dipendente. Da questo deriva che il superamento del periodo di comporto è condizione sufficiente a legittimare il recesso, e pertanto non è necessaria, in questo caso specifico, la prova del giustificato motivo oggettivo né dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa, né quella della impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse (si veda per tutte la sentenza della Cassazione 1404 del 2012).
Vari contratti collettivi prevedono però la possibilità di chiedere un periodo di aspettativa al termine del periodo di comporto. In questo caso, secondo la giurisprudenza, il lavoratore ha un diritto a un ulteriore periodo di sospensione del rapporto. I limiti temporali per poter procedere al licenziamento devono dunque essere ulteriormente dilatati, in modo da comprendere anche la durata dell’aspettativa.
Il datore di lavoro non ha il dovere di sollecitare il ricorso all’aspettativa (Cassazione, sentenze 19134/2011 e 13396/2002).
Se un contratto collettivo prevede una disciplina specifica di prolungamento del periodo di comporto per disabilità, affezioni patologiche particolarmente gravi, lunghi ricoveri ospedalieri, necessità di terapie salvavita e situazioni comunque rapportabili a esigenze di maggiore tutela, è a queste disposizioni, in quanto frutto dell’interesse collettivo delle parti sociali, che occorre in primo luogo dare rilievo, considerando che, in simili ipotesi, l’ordinamento interno, legislativo e contrattuale, prevede meccanismi di difesa idonei a evitare una discriminazione indiretta.
Tra i contratti collettivi che prevedono e disciplinano un’aspettativa per prolungare il periodo di comporto, si possono ricordare a titolo di esempio quelli relativi ai settori alimentare, autotrasporti, calzature, carta, chimica, gomma-plastica, grafica-editoria, legno-arredamento, metalmeccanici, terziario-commercio, tessile, turismo.